23 Mag Love without the fall
Introduzione
In un suo intervento per il sito Web Big Think, Žižek riporta come alcuni critici letterari abbiamo acutamente notato il fatto che oggi stiamo ritornando ad un’epoca preromantica per quanto riguarda le relazioni affettive e amorose, solamente declinata in chiave moderna. Le agenzie matrimoniali, e i loro figli 2.0, i siti d’incontro, sarebbero i discendenti di quelli che erano “i parenti” nell’era preromantica, dove per “parenti” intendo tutti coloro (padre, gli zii, fratelli e così via) che sceglievano con chi una persona dovesse stare, togliendola così dal rischio dell’innamoramento. Si potrebbe obiettare dicendo che in quel caso la persona era costretta a sposarsi, non aveva scelta, non era lei che voleva rinunciare ad innamorarsi. Ebbene, la libertà che i siti d’incontro sembrano dare è solo apparente, in particolar modo Meetic.
Meetic è un sito d’incontri online fondato nel 2001. Rispetto ad altri siti d’incontri però per iscriversi bisogna pagare e, secondo gli utenti del sito, questo servirebbe da deterrente contro tutti coloro che non fossero realmente interessati, eliminando così il problema dei fake accounts. C’è chi paga nella speranza di trovare l’amore di una vita e chi, più verosimilmente, per una scappatella. Ad ogni modo l’illusione a cui i siti d’incontro ci consegnano è la stessa: sia che siamo in cerca di un amore che duri una notte, oppure tutta la vita, ci illudono di poterlo trovare bypassando l’altro, estirpando dall’evento d’amore il rischio, l’esposizione vera verso l’altro.
Aspetto storico/sociologico
È indubbio che i vari siti d’incontro comincino a segnare il nostro immaginario sociale, anche se più prepotentemente oltre oceano, dove questi siti sono più in voga. Per esempio in America, per indicare una ragazza facile, ora si dice “Tinderslup”, per parlare di un incontro occasionale si usa il termine “Tinderella”. Ma quale meccanismo ha permesso a questi siti di entrare nelle nostre vite e attecchire così bene alla nostra società, tanto da contaminare addirittura il nostro linguaggio?
C’è una pubblicità della Vigorsol Easy Stevia, che circola in televisione da un po’ di tempo: c’è una ragazza rockettara che esce di casa salutando con un sonoro “yeah” i suoi genitori, rockettari pure loro, che rispondono al saluto dimostrando grande orgoglio e apprezzamento per il look (e per la personalità) della figlia. Appena uscita di casa, avendo preventivamente lanciato in giardino dalla finestra il suo tappetino da yoga, si spoglia da questo “travestimento”, struccandosi e trasformandosi in una mezza buddhista acqua-e-sapone, vestita di bianco, e se ne va via in bicicletta insieme ad una fattispecie di Siddhartha biondo tra le grida, ora di disapprovazione e delusione (e anche di rabbia), dei suoi genitori.[1]
Sembra abbastanza chiaro il possibile significato: la semplicità, la naturalità, riassunta nell’assenza di trucco pesante, delle borchie, di qualcosa, insomma, non di puro e buono – nel senso etico del termine –, nell’assenza, in definitiva, di qualcosa che appesantisce, è equiparata all’assenza di zucchero dalla chewing gum. La mancanza, quindi, di qualcosa che non fa bene (lo zucchero), e la sua sostituzione (con la stevia, un dolcificante ipocalorico naturale), diviene specchio di quella ricercatezza di naturalità, sempre di più sinonimo di salute, ma che non fa rinunciare comunque alla dolcezza. In realtà questa ideologia, per cui noi vogliamo le cose private in qualche modo di quella che è la loro essenza – insomma, da che mondo è mondo le chewing gum nascono con lo zucchero! –, viene ironicamente definita da Žižek “Buddhismo Occidentale”. Nota infatti il filosofo sloveno che noi oggi chiediamo – e paghiamo anche a prezzo maggiore! – cose private in qualche modo da quello che naturalmente le costituisce. Un esempio? Una birra analcolica della Beck’s da 33cl costa 1,40 €, mentre una birra normale della stessa marca e con gli stessi cl costa 40 centesimi in meno. Lungi dall’essere un invito a darsi all’alcolismo, questo esempio vuole solo (e, mi rendo conto, parzialmente) mostrare come al giorno d’oggi per noi le cose private di ciò che le rende uniche diventano più desiderabili. Sembra quasi che desideriamo vivere in un mondo di surrogati. E questo non avverrebbe solo con gli oggetti, ma anche con le relazioni, nella fattispecie quelle d’amore.
Žižek sostiene che oggi noi abbiamo paura proprio di quello che è il centro dell’amore, la sua essenza, o per lo meno ciò che lo fa scoccare: oggi vogliamo brevi e sicure relazioni amorose senza il rischio dell’incontro.
L’espressione inglese per indicare l’innamoramento, l’evento d’amore, è falling in love, espressione molto evocativa che dà bene l’idea di cosa può essere il rischio connesso a questa esperienza: l’amore è qualcosa che cade, che accade, e nell’accadere scompagina, porta con sé sempre una cifra di rischio. Innamorarsi equivale a perdere il controllo della propria vita, poiché, una volta innamorati, dobbiamo rifondare tutto il nostro mondo a partire da quell’incontro: tutto l’equilibrio della nostra vita è distrutto, tutto deve essere ripensato a partire da un incontro con una persona particolare. L’amore ci espone inevitabilmente all’altro, al suo essere imprevedibile, e nell’esporci all’altro ci unisce a lui/lei: Due, non più Uno, come visione del mondo dei due amanti. Tuttavia l’unione di cui si parla non equivale ad un’identificazione delle due persone in una sola. L’amore mantiene le differenze tra le persone, non stabilisce, come vorrebbe il senso comune, la loro fusione, ma spinge invece ad una visione della vita non più egoistica – non più ricerca ossessiva del mio godimento –, ma altruistica, nel senso di esposizione rischiosa e costante confronto con l’altro amato. Vorrei, una canzone di Francesco Guccini, spiega perfettamente cos’è questa rifondazione del mondo dall’Uno al Due. Il testo ad un certo punto recita così: “vorrei tornare nei posti dove son stato, spiegarti di quanto tutto sia poi diverso e per farmi da te spiegare cos’è cambiato e quale sapore nuovo abbia l’universo”. Dal testo si evince questo desiderio profondo di voler tornare nei posti già visitati perché c’è la certezza che il mondo visto con accanto l’amata sia totalmente diverso e vi sia quindi la necessità di riscoprirlo.
Scavando nelle varie esperienze di innamoramento non è certo difficile dimostrare come quell’incontro, del tutto contingente, casuale – magari stavate camminando per strada e vi siete scontrati con quella persona e siete…caduti nell’amore – sia diventato necessario. Potremmo dire che l’incontro d’amore vero è quello che fa sì che si rilegga tutta la propria vita passata come un’attesa di quello stesso momento e il proprio futuro come possibilità di realizzazione di quell’incontro. Nota lucidamente Massimo Recalcati che:
Se l’evento dell’amore è l’evento di un incontro contingente che nessun sapere può prevedere, una volta accaduto, la tendenza degli amanti è quella di farlo esistere “per sempre”, di tradurre la sua contingenza in necessità. Per questo si rivolgono costantemente agli astrologi; vogliono sapere se davvero le stelle potranno confermare la loro speranza che questo amore sarà per sempre.[1]
L’evento d’amore porta con sé una carica talmente forte che risulta essere un po’ come “l’anno 0” della vita di ciascun individuo. La contingenza, la casualità diventano necessità e la necessità diventa destino. Un amore vero vuole essere “per sempre”, proprio perché gli amanti pensano sia destinato ad essere tale, siccome rileggono tutte le esperienze che hanno fatto prima del loro incontro come necessarie ad esso: tutto ciò che hanno fatto prima doveva per forza portare a farli incontrare. Ecco perché una delle frasi che gli amanti si dicono più spesso è “era destino che ci incontrassimo”.
Non bisogna però cadere nell’errore di rendere banale l’incontro d’amore, vedendone solo il lato “romantico”. Con una più attenta osservazione si può infatti notare che c’è una certa violenza insita nell’amore, violenza che riscontriamo per l’appunto già nei suoi esordi: il mondo come lo conoscevo prima è distrutto e io sono detronizzato, devo rileggere tutta la mia vita e ricalibrare i miei desideri pensando anche all’altro. E se l’inizio è così traumatico, come mai potrà essere la sua fine? E che non sia proprio per evitare il rischio e il trauma dell’incontro d’amore – e la sua possibile fine – che oggi sempre più si ricorre ai cosiddetti siti d’incontro, come Meetic, per “incontrare” l’amore? Sembra che oggi sia proprio la nostra paura del trauma e dell’imprevedibilità che ogni incontro d’amore porta con sé, uno dei motivi che ci spinge a fare uso di questi siti.
[1] M. Recalcati, Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014, cit., p.46-47
Aspetto psicologico/patologico
Meetic, sulla scia di Tinder, di default presenta la cosiddetta modalità shuffle, per cui agli iscritti verranno fatti visualizzare giornalmente 100 profili, selezionati direttamente e casualmente (ma neanche troppo) dal sito, a cui potranno dare un “sì” per aggiungerli alla lista dei preferiti, sperando che anche dall’altra parte dello schermo l’altro faccia lo stesso. In questo modo si può avviare una conversazione. Questa modalità, come abbiamo già accennato sopra, è utilizzata anche dagli altri siti d’incontro e serve soprattutto a valutare una preferenza di tipo estetico e di solito per organizzare incontri occasionali. Certo esiste anche la modalità di ricerca avanzata con cui si possono cercare le persone in base a svariate caratteristiche: età, interessi, altezza e così via.
Tuttavia il di più di Meetic sta in un altro sito parallelo: Meetic Affinity. In un blog lo descrivono così: “[…] si tratta di un sistema avanzato e basato su un lungo test per avere degli incontri con persone caratterialmente affini a noi. Non si sceglie quindi colore degli occhi, dei capelli o amore per gli animali, ma si risponde ad una serie di domande complesse (il test per iscriversi dura una mezz’oretta e va fatto in modo accurato) e il sistema ci confronterà con gli altri utenti che sono più affini a noi”. Sarà quindi in base ai nostri hobby, gusti, preferenze e così via che il programma troverà dei potenziali partner che maggiormente si avvicinano ai nostri standard e a proporceli. Non è comunque necessario iscriversi a Meetic Affinity una volta fatto il test, ma ovviamente sarà più difficile trovare le persone “più affini a noi”.
Qui possiamo smascherare un aspetto della pseudo-libertà che i siti di incontro ci propinano: le persone che possiamo incontrare sono selezionate sulla base di alcune caratteristiche e alcuni parametri scelti da noi: la geolocalizzazione delimita l’area, i vari test le caratteristiche dei nostri possibili partner.
Incontrare un’altra persona attraverso la mediazione di uno schermo ci preserva sicuramente da quel trauma che l’innamoramento porta con sé, ma dall’altra parte distrugge all’origine l’evento d’amore, che perde così la sua essenza di incontro contingente e traumatico. Lo schermo protegge perché allontana, ci dà l’illusione che ci sia una separazione tra me e l’altra persona, che sembra vivere solo all’interno del dispositivo.
I siti d’incontro come Meetic, inoltre, si adattano perfettamente a quello che è il nostro moderno essere narcisisti. Lo schermo è la versione 2.0 della pozza d’acqua in cui il Narciso post-moderno si specchia. Freud è molto chiaro a questo proposito: quando dico “ti amo” ad una persona, dico anche che amo me stesso attraverso di te. Tuttavia, al contrario di quello che pensava il padre della psicanalisi, questa è però solo la deriva narcisistica dell’amore, non esaurisce la totalità dell’esperienza d’amore. Ma è questa deriva narcisistica che sembra farla da padrone nei siti d’incontro: io attraverso la mia descrizione chiedo esplicitamente di mostrarmi solo quelle persone che abbiano qualcosa in comune con me, che siano una giusta immagine riflessa di quello che sono io. Questo è il “calcolo delle affinità”: una richiesta, più o meno esplicita, di mostrarmi solo quelle persone che possano farmi dire “ti amo, ma solo nella misura in cui mi corrispondi, in cui posso trovare qualcosa in te che mi ricordi me stesso”. Anche le foto che scegliamo come rappresentative mettono in mostra solo le parti che consideriamo più belle di noi, quelle più accattivanti, trasformandoci così in oggetti-feticci per il desiderio dell’altro. Non è più la persona nella sua interezza a farsi oggetto di desiderio, magari tramite un suo gesto, un suo modo di fare, ma è la fissità della parte-fallo (sedere, seno, gambe, torace, bocca ecc.) a rendersi desiderabile e a ridursi oggetto. L’incontro d’amore, invece, è sempre incontro di corpi, ma che non si riducono al loro lato feticistico.
Quando amiamo l’altro infatti lo facciamo per ciò che ci sfugge, per ciò che è la sua particolarità più particolare, tanto che quando ci viene chiesto: “ma cosa ami di lui/lei?” ci troviamo in difficoltà e sentiamo inadeguata ogni nostra possibile risposta. Scrive infatti Recalcati che c’è possibilità d’incontro solo con “l’eteros dell’Altro, con il reale più reale dell’Altro, con ciò che dell’Altro sfugge a ogni specularità narcisistica, a ogni simmetria sentimentale”. Questa possibilità ci viene negata dai siti d’incontro.
Aspetto educativo
Meetic è un sito di incontri per lo più per persone adulte – visto anche il fatto di non essere gratuito, il che lo rende poco accessibile ad un adolescente. I ragazzi al giorno d’oggi preferiscono infatti usare dating app gratuite come Tinder, in cui possono trovare soprattutto loro coetanei. Quindi a che pro capire il funzionamento di Meetic e la possibile ideologia ad esso sottesa? Ecco, penso che in questo caso il lavoro da fare debba essere più che altro preventivo. Meetic potrebbe essere la risposta, ormai quasi automatica nella nostra epoca digitale, ad una delusione amorosa avvenuta proprio in età adolescenziale, all’essersi esposti all’altra persona, al suo desiderio ed essere rimasti scottati. Magari questa esposizione e questa delusione sono state molteplici e allora perché non provare – perché molti si iscrivono a questi siti proprio per provare, per curiosità – qualcosa di diverso, di più sicuro, qualcosa che non mi esponga direttamente al rischio di fallire un approccio, qualcosa che non mi faccia sentire scrutato direttamente dall’altro e che nello stesso tempo mi permetta di guardarlo senza essere visto? Eppure è proprio l’esposizione al rischio che ci permette di comprendere meglio noi stessi e la realtà che ci sta intorno. È proprio l’esperienza dell’amore come incontro singolare e contingente con un’altra persona che ci mostra il mondo con occhi nuovi, che ci aiuta a conoscerci meglio, a capire i nostri limiti e le nostre fragilità e che, infine, rende possibile l’uscita dal nostro narcisismo. Narcisismo che i vari siti d’incontro contribuiscono invece ad alimentare. L’educazione ad un sano desiderio amoroso verso l’altro non può che passare per la porta stretta dell’incontro rischioso e imprevedibile con l’altro.
Siamo di fronte a due tipologie di rischio: da una parte il rischio (sano) costitutivo di ogni esperienza in cui io mi espongo all’alterità dell’altro, lasciando trasparire la mia di alterità, la mia unicità, all’altro, ma anche a me stesso; dall’altra il rischio, a mio avviso assolutamente da evitare, di digitalizzare le emozioni e contribuire così alla creazione di una generazione di narcisisti paurosi di scoprire cosa l’altro ha da dirmi di più sul mio modo di vivere e vedere il mondo, angosciati dal lasciarsi guardare veramente – e non attraverso uno schermo – dall’altro.
Conclusioni
Il fallimento, che abbiamo visto essere sempre associato al rischio, diviene una categoria che l’educatore non solo dovrebbe difendere, ma addirittura elogiare! D’altronde Recalcati ci ricorda come il fallimento sia “un’esperienza formativa fondamentale se si dà il tempo perché lo possa diventare davvero. […] Il fallimento implica un incontro con il proprio limite e questo può sempre, se preso dal verso giusto, diventare una possibilità d’apertura inedita”[2]. E oggi più che mai, in quest’epoca digitalizzata che ci vede tutti di corsa e che vede il sesso e l’amore come mezzi per scaricare tutte le nostre pressioni e frustrazioni, penso sia necessario riscoprire l’evento d’amore, educando alla bellezza di innamorarsi, di rischiare e anche di fallire. Non bisogna lasciare che una delle esperienze più belle che un essere umano possa mai fare, forse la più qualificante, venga banalizzata e svenduta da siti che promettono, in modo illusorio, di trovare l’Amore. I siti d’incontro hanno così tanto successo perché tentano di addomesticare ed eludere la sovrabbondanza che l’esperienza d’amore, e la sua fine sempre possibile, portano con sé offrendoci un “amore senza il rischio (la caduta), senza l’innamoramento”, come afferma Žižek. Mi chiedo se per una volta ai giovani non dovremmo insegnare ad amare il rischio (quello sano), piuttosto che ad evitarlo.
[2] M. Recalcati, Elogio del fallimento. Conversazioni su anoressie e disagio della giovinezza, Erickson, Trento, 2011, p.132