23 Gen Share
To share, significa, condividere, ed un’espressioni che compare su quasi tutti i social network.
Condividere, significa dividere, spartire insieme ad altri.
Cliccando “share” o “condividi”, i social consentono all’utente di condividere una foto, un video o un post, con i membri della rete, facilitando la comunicazione spontanea.
Analizzando la storia di internet è possibile identificare tre diverse fasi dello sviluppo dei nuovi media legate a uno specifico tipo di interfaccia. Un’ interfaccia è lo strumento in grado di far comunicare l’utente con i contenuti e di consentire lo scambio di segnali tra l’utente e il computer; esso costituisce, quindi, un elemento di intermediazione. Si tratta, perciò, di uno strumento che l’utente utilizza per compiere un’azione.
La terza fase riguarda l’espressione multimediale (interfaccia 2.0), la quale permette ad un utente di esprimersi e di creare contenuti a condividere all’interno della comunità virtuale. Questo consente, in pratica, al soggetto di diventare per i propri interlocutori quello che comunica.
Il computer è un mass medium. Inizialmente con i siti web era possibile, solamente, proporre e trasmettere a un gran numero di riceventi lo stesso messaggio.
Con il web 2.0 improvvisamente la situazione cambia: anche l’utente comune di internet può creare e condividere contenuti comunicativi.
Nel social network il soggetto può organizzare la propria presentazione in maniera “strategica”, proprio per trasmettere una precisa immagine di sé. Il processo attraverso il quale gli individui tentano di controllare la loro impressione sugli altri, è denominata impression management (gestione dell’impressione).
La volontà di condividere foto, video o quant’altro sui social network nasce da una delle paure attualmente più diffuse, la paura dell’oblio. In un periodo storico in cui la comunicazione personale non è mai stata tanto semplice e accessibile, la possibilità di essere dimenticati, scomparire, non esistere, rappresenta una delle angosce maggiori. Viviamo per lasciare un segno della nostra esistenza e l’idea di rimanere soli e non essere notati sono alla base di molte delle nostre relazioni e di conseguenza delle abitudini di condotta online, dal momento che i nostri comportamenti sono anche guidati dalle nostre paure.
Inoltre, alcuni recenti studi psicologici americani dichiarano che: il fatto di postare continuamente sui social, sia legato alla personalità di una persona; per esempio tra gli utenti di Facebook si nascono molti soggetti egocentrici e narcisisti. E’ facile dedurre che condividere particolari della propria vita privata, per cercare attenzioni e conferme su di sé, è tipico dell’egocentrismo, bisogno urgente di attenzione.
La diffusione dei social network, ha permesso una maggiore manifestazione di comportamenti egocentrici, che possono sfociare nell’oversharing, cioè la condivisione su Internet di ogni minimo dettaglio della propria vita privata con una platea spesso sconosciuta.
L’egocentrismo diventa oversharing, quando si condividono tutti i minimi particolari della propria vita privata su Internet, rendendo così parte della propria vita l’intera comunity.
In questa realtà virtuale si verifica, inoltre, un fenomeno di imitazione: più gli altri mostrano foto e aspetti di sé, più siamo trascinati a mostrare e a condividere tutto. La riservatezza e la distinzione tra ciò che è individuale e collettivo non è più tanto netta. Alcune ricerche hanno fatto emergere che il comunicare agli altri i propri pensieri, emozioni, riflessioni è correlato fortemente con l’attivazione di aree cerebrali deputate alla percezione di un senso di gratificazione e di piacere.
Il fatto di postare contenuti in rete, non vivendoli realmente e fisicamente, sottrae al soggetto un’importante punto di riferimento, la capacità di provare emozioni, favorendo così l’ “analfabetismo emozionale.” Questo si verifica perché nell’interazione mediata la fisicità del corpo viene sostituita da quella del medium, e questo riduce la possibilità di attivare i meccanismi di simulazione corporea che ci permettono di comprendere l’altro.
L’incapacità di riconoscere le emozioni dell’altro impedisce anche di comprendere le proprie, portando al disinteresse emotivo.
Tutto ciò, aiuta a comprendere che spesso condividiamo moltissimi argomenti e materiali, senza alcun senso di responsabilità verso ciò che pubblichiamo o commentiamo; ci muoviamo nella rete social con superficialità e automatismo.
La nostra ingenuità ci impedisce di vedere le cose in modo razionale e oggettivo, infatti spesso non percepiamo che stiamo pubblicizzando ciò che condividiamo. L’uomo è essere sociale, e in quanto tale, utilizza la condivisone come strumento di propagazione delle informazioni, e la integra al processo di comunicazione.
Ogni utente, oltre a poter scegliere quali contenuti pubblicare, ha anche la capacità di decidere di non dichiarare esplicitamente la propria identità, per esempio utilizzando uno pseudonimo, la persona può sperimentare nuovi modi d’essere, visto che nella maggior parte dei casi anche se si fallisce non succede nulla.
Il web 2.0, sostanzialmente permette di avere un ruolo centrale nella definizione e nella condivisione della propria identità, ma è anche vero che i nuovi media, e in particolare i social network, permettono anche agli altri componenti della nostra rete di poter intervenire facilmente sulla nostra identità sociale. Gli Altri, con le loro narrazioni, e interazioni possono avere un impatto sulla nostra soggettività. Con i social network questo può avvenire in maniera diretta, postando un commento sulla bacheca o in maniera indiretta attraverso l’uso del tagging (etichettare) con cui nei social network è possibile associare a un “amico”, senza che lui lo voglia, un’immagine in cui lui è presente o una nota di testo a lui riferita. Il fatto di essere taggati, in contenuti condivisi da altri utenti può portare a cambiamenti improvvisi della propria identità sociale.
In conclusione, l’identità virtuale di un utente social, risulta essere un’identità “fluida e plurale”.
Con il progredire del web 2.0, e grazie alla nuova possibilità di interagire con la comunità virtuale, la rete e i social sono diventati il luogo e lo strumento dell’ influencer marketing.
L’influencer marketing è una forma di marketing basta sull’identificazione delle persone che hanno influenza sui potenziali acquirenti. Lasciando poi, che questi ultimi abbaino influenza sul grande pubblico. Le persone che hanno influenza, gli influenzatori, vengono anche chiamati social influencer.
I social inflencer, sono persone, utenti più o meno noti, con migliaia se non milioni di seguaci sparsi sui vari social network. Il marketing, si è accorto del loro ascendente, perciò i brand hanno deciso di coinvolgerli nelle loro campagne pubblicitarie.
Per esempio molti marchi di moda coinvolgono nelle loro pubblicità, questa tipologia di utenti. I social influencer, a loro volta dovranno, poi condividere nei vari social, com per esempio Instagram e Facebook, gli scatti o i video che li ritraggono nei ruoli di indossatori; in questo modo i loro post avranno lo scopo di pubblicizzare, e trasmetteranno un messaggio preciso ai propri interlocutori.
Da un’analisi effettuata da “Add This” dal titolo “The Best Times To Post On Social Media”, è emerso in quale giorno e a quale orario un contenuto può essere pubblicato in un determinato social network, e ottenere così il maggior numero di click e condivisioni. Per esempio il miglior momento per pubblicare qualcosa, negli U.S.A, su Facebook è giovedì tra le nove del mattino e le dodici, mentre per quanto riguarda Twitter è preferibile postare il venerdì tra le due e le tre del pomeriggio.
ttp://fulltext.study/preview/pdf/351619.pdf
Bibliografia: Psicologia dei nuovi media, Giuseppe Riva